Noi per l'acqua bene pubblico
Avere l'acqua a dispozione è un diritto. Mentre il mondo e le organizzazioni internazionali si preoccupano di far sì che la più preziosa delle risorse sia fruibile dall’intera popolazione mondiale, il governo, neanche a dirlo, rema controcorrente e si avvia invece alla sua privatizzazione. La politica dell’”acqua al migliore offerente”, argomento chiave del decreto-salva infrazioni votato e approvato ieri dal Senato, è stata arginata dall’emendamento PD, inserito all’ultimo minuto nel testo. “L’acqua è di proprietà dello stato”: poche parole che però riescono nell’impresa di limitare la mercificazione selvaggia voluta dal ministro Ronchi, ideatore del decreto.
Un giro d’affari da 8 miliardi. Nonostante la modifica, il testo rimane potenzialmente pericoloso e rischia di spingere le aziende del settore ad una febbrile caccia all’oro che penalizzerebbe pesantemente i consumatori. Vediamo perché.
Al momento in Italia la rete idrica è coperta da circa 110 gestori, divisi per ambiti territoriali ottimali. Di questi ben 64 sono a capitale pubblico e servono metà della popolazione, il resto è a capitale misto o privato. La riforma di ieri cancella ogni regola e apre alla privatizzazione selvaggia. Si consente la gestione a società “in ogni forma costituite”. Non è tutto, il privato deve possedere una quota corrispondente ad “almeno il 40% della società” e spetterà a lui l’ultima parola sugli investimenti. In sostanza il pubblico diventerà un’ospite poco gradito.
È ovvio che i un sistema così articolato, la logica di mercato avrà la meglio sulla volontà di garantire a tutti un diritto, quindi si può prevedere realisticamente che le società decidano di massimizzare i profitti gonfiando le tariffe. Quanto ci guadagnano le aziende private? Si stima, in difetto, che il gioco al rialzo potrebbe fruttare in 10 anni ben 8 miliardi di euro.
Che fine fanno gli enti pubblici? A loro resta una quota che non potrà superare il 40%, pochi poteri e praticamente nessuna possibilità di contrastare gli interessi dei grandi gestori privati italiani. Inoltre la riforma spalanca le braccia alle multinazionali, come le francesi Veolia e Suez, impazienti di accaparrarsi altre zone del territorio. L’Antitrust già parla di “monopoli pubblici sostituiti da monopoli privati”.
Sindaci ribelli. Insomma, in generale la prospettiva di grandi aziende con in mano le chiavi del proprio rubinetto non piace a nessuno, ma in particolare non entusiasma chi da decenni lotta col problema della scarsità idrica. Per questo un centinaio di sindaci siciliani si sono coalizzati per risolvere il problema alla fonte: non consegneranno le chiavi degli acquedotti a gestori privati. La Sicilia, uno dei pionieri della privatizzazione idrica fin dal 2005, sa cosa vuol dire ridurre un necessità primaria all’interesse di pochi e soprattutto sa quanto i traffici miliardari concentrati nelle mani di un numero ristretto di imprenditori possa far gola a Cosa Nostra. Il braccio di ferro fra i sindaci irriducibili e la regione si è spesso evoluto nell’invio di qualche commissario, non proprio irreprensibile. È il caso dell’ingegnere Rosario Mazzola, commissario per l’Ato di Palermo e allo stesso tempo consigliere per alcune società che controllano Acque potabili siciliane…coincidenza o piccolo caso di conflitto d’interessi?
I commenti del PD. La presidente dei senatori PD Anna Finocchiaro, durante il suo discorso all’aula ha evidenziato: ''La questione della gestione della risorsa acqua e' una delle grandi questioni sulle quali si interroga il mondo intero. Non e' un problema di poco conto, ragioniamoci, cerchiamo di capire meglio. Dobbiamo avere attenzione al fatto che stiamo parlando dell'acqua, la risorsa piu' preziosa naturalmente a disposizione dell'umanita''.