Ottavia Piccolo non esercita «l’arte del dubbio», guarda un po’
l’intrigante titolo dello spettacolo teatrale che sta portando in giro
per l’Italia, in questi giorni a Catania e che dal 29 gennaio sarà a
Roma, al teatro Vittoria. Nessun dubbio, allora, quando si tratta di
affrontare una questione all’ordine del giorno, e cioè la valutazione, a
liste consegnate, di quante candidate donna alla fine ci sono, e, in
più, non solo per metterne qualcuna tanto per far numero ma anche per
farle eleggere. Lei, attrice brava e impegnata, non ha dubbi: «Il Pd è
il partito che ha avuto una ammirevole attenzione verso le donne».
E gli altri secondo lei come hanno ragionato, quando alla fine
il risultato non si discosta dalla tradizione anche per le nuove
formazioni, quelle del cosiddetto rinnovamento?
«Avranno pensato: siamo nuovi e basta questo. L’aggettivo l’hanno
evidentemente ritenuto sufficiente per comprende tutto il resto».
Ma possibile che in questi tempi moderni in qualche modo ci sia ancora bisogno delle quote?
«Le quote non le ho mai amate. Ed è un antico dibattito che ha sempre
animato il mondo delle donne. Però alla fine, non sembri una posizione
vetero, mi sembra chiaro che sono ancora necessarie. Non dimentichiamo
che il dato di partenza è talmente di svantaggio che un’arma per rompere
il soffitto di cristallo va trovata. Le primarie del partito
democratico hanno consentito a tante donne di farcela e lo stesso vale
per i giovani».
Basta essere donne?
«Non basta. Ma in attesa del tempo in cui non ci sia più bisogno di
quote e di spinte sto comunque studiando i profili delle donne
candidate. Io voterò a Venezia e sto imparando a conoscere chi mi
rappresenterà. È noto, voto Pd con orgoglio e convinzione. Anche se
problemi ne ho avuti nei confronti di atteggiamenti che non mi sono
piaciuti. Ma resto convinta che le battaglie si conducano dall’interno.
Anche questo è un po’ vetero, ma ci credo».
Si può fare una Rivoluzione civile con poche donne come sembra voglia fare Ingroia?
«Le donne in alcune liste sono messe come fiore all’occhiello. Tanto per
poter dire, siamo democratici e ce le abbiamo anche noi. Mi viene da
ricordare alcune trasmissioni a cui sono stata invitata, anche se non di
recente. Mi spiegavano che ci voleva una donna per alleggerire e per
rappresentare alcune questioni che specificamente vengono appaltate al
sapere femminile. Mi viene da pensare, dunque, non la donna intesa come
valore per se stessa ma chi ci può portare qualche voto. Questa è un po’
la sensazione che ricevo dallo scorrere certe liste in cui, ripeto, le
donne fanno da fiore all’occhiello, un elemento di decoro. Non voglio
giudicare cosa hanno fatto gli altri... però non mi piace».
L’iniziativa del Pd sulle donne presentate in posizione eleggibile ha condizionato gli altri?
«Non c’è dubbio. I buoni esempi per forza di cose, o per non sfigurare o
perché, magari, ci si convince davvero, alla fine servono».
Lo stesso ragionamento è valso per gli impresentabili?
«Certo. È la stessa cosa. Probabilmente hanno deciso certe esclusioni
perché condizionati dal timore di perdere voti. Però lo hanno fatto e in
Parlamento almeno alcuni impresentabili non ci arriveranno».
È stata aperta una strada?
«In fondo alla sinistra è toccato sempre farlo per questo Paese. È un’abitudine, anche bella».
Ma secondo lei è ancora possibile che questa rivoluzione fatta
di tante donne poi si riduca a parlamentari destinate ad occuparsi solo
dei temi legati alla famiglia e al sociale?
«Ancora? Non mi sembra possibile. Ci sono super, mega donne che possono
fare tutto. Anche di questo bisognerà tenere conto quando saranno
distribuiti gli incarichi in Parlamento».
L'Unità