Un'Italia spaccata in due, con un Centro-Nord che attira i flussi migratori e li smista al suo interno e un Sud che espelle giovani e manodopera per rimpiazzarli con pensionati, e stranieri. È l'immagine che emerge dal Rapporto Svimez 2009, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. Un dato spicca su tutti: tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. E, lo scorso anno, le regioni meridionali hanno perso oltre 122mila residenti a favore di quelle del Centro-Nord, a fronte di un rientro di circa 60mila persone. E, oltre l'87% delle partenze, ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia più forte è in Campania (-25mila), seguita dalla Puglia (-12,2mila) e dalla Sicilia (-11,6 mila).
In particolare, cresce fortemente il numero dei laureati "eccellenti" che decide di lasciare il Sud: nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. Per i giovani in possesso di laurea il Centro-Nord rapprensenta un'opportunità per guadagnare di più, anche se i contratti sono meno stabili rispetto a quelli che riesce a ottenere chi rimane. Esiste poi una fetta consistente di popolazione che, pur essendo residente nel Mezzogiorno, lavora altrove. Nel 2008, secondo quanto emerge dal Rapporto, i pendolari di «lungo raggio» sono stati 173mila, 23mila in più del 2007 (+15,3%). Si tratta di giovani con un livello di studio medio-alto: l'80% ha meno di 45 anni, quasi il 50% svolge professioni di livello elevato e il 24% è laureato. Sono persone che, vivendo al Sud e lavorando al Centro-Nord o all'estero, rientrano a casa nel weekend o un paio di volte al mese. Lombardia, l'Emilia Romagna e il Lazio sono le regioni maggiormente riescono ad attrarre i pendolari.
Ed è proprio il Mezzogiorno a soffrire particolarmente della recessione e di un gap di sviluppo che ormai si protrae da anni. Secondo quanto emerge dal Rapporto, il Pil delle regioni meridionali nel 2008 è crollato a -1,1%, segnando un dato peggiore della media nazionale (-1%) e del Centro-nord (-1%). Quella che emerge è la fotografia di un Sud «in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale» e che «da 7 anni consecutivi cresce meno del Centro-nord, cosa mai avvenuta dal dopoguerra a oggi». In particolare, la Campania ha avuto una diminuzione del Pil particolarmente elevata (-2,8%), mentre per le altre regioni meridionali le perdite sono state più contenute: la meno colpita dalla crisi è la Puglia (-0,2%).
Il Pil per abitante è pari a 17.971 euro, il 59% del Centro-nord (30.681 euro), «con una riduzione però del divario di oltre 2 punti percentuali dal 2000, dovuta solo alla riduzione relativa della popolazione».
Un altro indicatore, poi, «rende l'idea della situazione stagnante: nel 1951 nel Mezzogiorno veniva prodotto il 23,9% del Pil nazionale. Sessant'anni dopo, nel 2008, la quota è rimasta sostanzialmente immutata (23,8%). Dal 1951 al 2008 il Sud è cresciuto circa agli stessi ritmi del Centro-nord, ma non è riuscito e non riesce a recuperare il gap di sviluppo».
A livello settoriale, spiega il rapporto, «l'agricoltura meridionale ha tenuto molto più di industria e servizi e ha invertito il trend negativo iniziato nel 2005».
Il quadro, conclude lo Svimez, «diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri Paesi europei». In dieci anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizioni comprese tra la 165esima e la 200esima su un totale di 208. Un processo «in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che sono cresciute mediamente del 3% annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è fermato a +0,3%».
IL SOLE 24 ORE
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