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26 luglio 2010

• Una mannaia sull'Università tarantina

La corda è stretta intorno al collo. E il respiro è già provato dalla brutale riduzione dell’offerta formativa. Non è certo un momento facile per l’università a Taranto. Il piano di razionalizzazione dei costi predisposto da ll ’Università di Bari ha già tagliato fuori le facoltà di Maricoltura , Lettere e Scienze della Moda per il prossimo anno accademico.
E il ddl Gelmini, che in questi giorni è all’esame del Senato, minaccia seriamente la capacità di sopravvivenza del polo universitario tarantino:
«E’ un meccanismo a catena – ha spiegato l’onorevole Ludovico Vico durante conferenza stampa dei Giovani Democratici contro i tagli all’università – che si abbatte su Bari e, poi, si scarica anche su Taranto».
Quella tarantina è un’università gemmata, cioè una costola dell’Ateneo barese. I tagli previsti dal progetto di riforma del ministro dell ’istruzione Gelmini, stimati in 1 miliardo e 300 milioni di euro, possono dunque minare alle radici il progetto universitario per Taranto: «A breve – ha proseguito Vico – il Rettore di Bari presenterà un piano di rientro per frenare i tagli annunciati.Se alle già note difficoltà dell’Ateneo si aggiungeranno quelle derivanti dalla riforma allo studio in Parlamento, rischieremo seriamente il collasso: le vicissitudini dell’università madre barese non potranno non interessare anche Taranto » .
Gli studenti tarantini hanno già cominciato a discutere. Lo fanno nelle sedi dei partiti, per le strade, in piazza e nelle aule dell’università: «Quello che ci preme – ha detto Giuseppe Fontana, segretario provinciale dei Giovani Democratici – è cominciare ad aprire un dibattito serio sul futuro dell’università a Taranto. Abbiamo il sospetto che la riduzione dell’offerta formativa, ora giustificata come un semplice fermo tecnico, possa invece
trasformarsi nella chiusura definitiva dell’università ionica». L’emergenza non
è così lontana: «Il Miur – ha sottolineato Paolantonio Palumbo, responsabile provinciale dei GD in materia di università – ha classificato la Puglia tra le regioni con il più alto deficit universitario.
Taranto ne risente in modo particolare. Basta scorrere i dati sui flussi migratori studenteschi: quasi sempre i tarantini scelgono di studiare fuori Taranto. Così si indebolisce l’università e tutto il sistema economico, sociale e culturale del territorio».
L’impressione è che, adesso, le parole abbiano passato il segno. E’ il tempo dei progetti e delle ricette concrete:
«In un contesto così complicato – è Angelo Notaristefano, uno studente di ingegneria,
a prendere la parola – serve più che mai puntare su un’università di qualità. E’
meglio avere poche facoltà, ma buone. Taranto, allora, deve domandarsi di cosa ha veramente bisogno: di ingegneri? Di avvocati? Di interpreti? Quando avremo la risposta potremo ripensare la nostra università». Spesso basta poco per intendersi: la città deve capire in quale direzione andare. E deve scegliere – la pochezza delle risorse non permette lussi – tra un modello di università parcheggio (studenti a oltranza, sbocchi di lavoro quasi nulli) ed uno più efficiente o strategico,dimensionato sulla scorta delle virtù del territorio: «Ad ingegneria, oggi, c’è un docente ogni venticinque studenti. Potrebbe sembrare il paradiso – prosegue Notaristefano - ma non lo è. I docenti sono quasi tutti ricercatori che lavorano più di quanto dovrebbero, spesso gratuitamente. E poi mancano i legami col territorio. Ho sempre
pensato che la facoltà di ingegneria dovesse essere un volano per lo sviluppo di Taranto. Insomma, qui c’è l’Ilva che potrebbe attingere a piene mani dal bacino dei laureati tarantini. E invece vedo che gli stage e le borse di studio si mettono a punto con soggetti privati che hanno poco da restituire al territorio.
Perché funziona così? ». Bella domanda.

Paolo Inno Corriere del Giorno