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28 agosto 2010

• «Il Governo dia delle risorse per gli interventi ambientali»


«Cosa penso del referendum sull’Ilva? Mah... A me pare un modo un po’ sbrigativo per affrontare una questione così complessa». A margine della conferenza stampa, tenuta ieri dal Pd, l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (PD), risponde così alle domande della Gazzetta. Accanto a lui, ieri mattina nella sede dei «Democratici» di via Principe Amedeo n. 378, c’erano: Ludovico Vico, deputato del Partito democratico; Francesca Battista, responsabile provinciale Welfare e Lavoro, Luciano Santoro, segretario provinciale reggente del Pd e Giovanni Battafarano, ex parlamentare democratico ed ex capo della segreteria tecnica del ministero nel biennio in cui Da miano era tra i banchi del governo. Nella conferenza stampa, tra gli altri interventi, Vico ha fatto il punto della situazione delle varie vertenze e dei nodi irrisolti sul territorio mentre Santoro ha ribadito la centralità per il suo partito del tema - lavoro.
Onorevole Damiano, perché definisce «sbrigativo»
il referendum consultivo sulla chiusura, totale o parziale, dell’ILva di Taranto?
«Ripeto, non si affrontano così questioni complesse come questa. Mi ricordo che quando agli inizi degli Anni Novanta ero segretario della Fiom in Veneto mi sono ritrovato nel dibattito tra ambiente e lavoro relativamente alle industrie chimiche di Porto Marghera e dell’hinterlan d . Ma già in quel tempo cercai di affrontare questa si
tuazione con equilibrio cercando di controllare e ridimensionare integralismi e tesi azzardate».
Ed allora, onorevole Damiano, come si dovrebbe affrontare questo dualismo
ambiente - lavoro?
«Proprio, magari, evitando di parlare di dualismo. Il Gruppo Riva mi risulta che abbia fatto massicci investimenti per rendere il proprio stabilimento più ecocompatibile. Non bastano? È probabile. Ed allora, lo Stato, o meglio il Governo, dovrebbero cercare di indirizzare delle risorse concrete per definire gradualmente un processo di ambientalizzazione dello stabilimento. Ritengo sia giusto affiancare l’azienda in questo processo».

Del resto, nei cinque punti del nuovo ciclo governativo il premier ha inserito il Sud. C’è da star tranquilli, dunque?

«È interessante che il Governo scopra solo ora, dopo due anni di legislatura, il Mezzogiorno d’Italia. Lo fa dopo che, nei due anni precedenti, ha scippato al Sud i fondi Fas che, invece, sarebbero stati preziosi per aumentare la dotazione infrastrut
turale. Mi lasci dire, invece, che è agghiacciante che in quei cinque punti non ci siano lavoro e sviluppo».
La linea dura della Fiat che, a Melfi, non vuole far tornare in fabbrica i tre operai licenziati rappresenta, secondo lei, un episodio o un segnale ben preciso?

«No, non è un episodio. Sono anni ormai che il Governo ed il ministro Tremonti teorizzano
che ci si debba attrezzare alle sfide della globalizzazione ridimensionando la sfera dei diritti».
Cosa serve per emergere da questa situazione? Marchionne propone un patto sociale...
«Serve una nuova sfida. Serve che le aziende si impegnino a non delocalizzare, assumendo e formando i giovani, e serve che i sindacati escano dalla trincea».

FABIO VENERE Gazzetta del Mezzogiorno