“Non siamo costretti a dover scegliere
tra la Leopolda e Piazza San Giovanni. Assecondare slanci avanguardisti
o riflessi minoritari sarebbe un errore di fronte alle emergenze del
Paese.
Non si può contemporaneamente sostenere un governo e presidiare la piazza che protesta contro quello stesso governo. Così come non si può pensare che la formula aperta e innovativa della Leopolda debba essere concepita come il contraltare ad una manifestazione sindacale.
Il 25 Ottobre di Firenze e Roma possono essere, se non assolutizzate, due facce della costruzione di un grande partito riformista, autonomo e democratico.
Di fronte alla necessità di fare riforme profonde per cambiare un Paese fermo da trent'anni, sfida incoraggiata, per la prima volta, da un consenso inedito per la sua grandezza, è sbagliato immaginare che il richiamo della foresta di una grande e bella piazza sindacale possa far scaturire un progetto politico più marcatamente identitario della sinistra.
Le piazze si ascoltano, non si demonizzano né tantomeno si strumentalizzano con finalità politiche; quando centinaia di migliaia di persone si mettono in marcia per rivendicare la difesa di un diritto, il più grande torto che si può fare loro è utilizzare quello straordinario atto di libertà di espressione come leva per costruire una nuova aggregazione politica.
In passato, tentativi ben più ridondanti di questo, sono falliti clamorosamente.
Sembrerà paradossale ma la costruzione di una forza compiutamente riformista, che l'Italia non ha mai avuto, deve poter fare proprie le istanze provenienti da Firenze e da Roma qualificandole in un progetto politico che si impoverisca nella suggestione dello scontro tra vecchio e nuovo.
In un momento di drammatica crisi economico-sociale-istituzionale, non tende a placarsi il conflitto tra politica e antipolitica, tra democrazia e populismo, nonostante l'affievolirsi dell'efficacia mediatico-politica del Movimento 5Stelle. E in questi anni di crisi, la leadership carismatica è stata, per un verso, la scorciatoia a cui far ricorso per far fronte alla fine della democrazia rappresentativa; per altro verso, invece, i leader forti hanno incoraggiato il riavvicinamento alla politica di tanti cittadini delusi.
A me sembra che il presupposto per rivendicare il primato della democrazia rappresentativa sia il riconoscere, senza timori reverenziali, la profonda crisi di rappresentanza che colpisce inesorabilmente i cosiddetti ‘corpi intermedi’, soprattutto i sindacati. Così come colpisce i partiti e le istituzioni democratiche di cui si parla tanto. Far finta di non sapere che il sindacato stenti, da anni, a rappresentare i giovani lavoratori precari e le nuove forme di povertà, con una parola gli ‘outsider’, significa aprire le praterie a chi crede di poter fare a meno della concertazione.
Per questa ragione penso che la difesa strenua e corporativa di un diritto storico come l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, di fronte ad un provvedimento che si sforza di semplificare la selva dei contratti precari, sostituendoli con ‘il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti’ rappresenta più il tentativo di ritagliarsi lo spazio a difesa di una riserva indiana, piuttosto che incoraggiare, come hanno fatto i sindacati confederali nei momenti difficili del Paese, un processo riformatore utile ai più giovani e al futuro dell'Italia. Avere questa lettura delle ragioni della mobilitazione della CGIL, non può precludere, però, al riconoscimento che dalla manifestazione di sabato siano giunti molti messaggi di cui tener conto; il più importante di tutti è che molti italiani spaventati dalla crisi e dai suoi effetti, confidano nella rete di protezione-assistenza del sindacato.
‘Creare nuovo lavoro anziché tagliare i diritti di chi il lavoro ce l'ha’, è stato uno degli slogan più insistenti.
La creazione di nuovo lavoro, come sa bene la CGIL, passa principalmente dal rilancio degli investimenti e dello sviluppo che, evidentemente, è legato alla fine delle politiche di rigore e di austerity dell'Europa e, secondariamente, può trovare facilitazione nelle scelte strategiche introdotte dalla Legge di Stabilità. Indurre le imprese italiane, attraverso gli sgravi e il taglio del costo del lavoro, a ritenere conveniente l'applicazione di tipologie contrattuali stabili, significa invertire la tendenza, dei tanti governi succedutisi in questi anni, a rendere selvaggia e incivile l'attuale legislazione in materia di lavoro. Non riconoscere l'apertura di un percorso nuovo in queste misure del Governo, compresa la dura trattativa con Bruxelles sulla necessaria flessibilità per liberare risorse per lo sviluppo, suscita molte perplessità.
Alfredo Reichlin ha parlato, dopo l'esito delle recenti elezioni europee, del Pd come del Partito della Nazione. Un partito di popolo che ha una visione del futuro dell'Italia e che fa coincidere il proprio destino con quello del Paese. Concordo pienamente.
Mi permetto di dire, a questo proposito, che questo orizzonte, non esclusivamente legato ad una congiuntura elettorale, sarà raggiungibile se il Pd non sarà costretto a scegliere tra la Leopolda e Piazza San Giovanni. Il Pd sarà utile all'Italia se saprà raccogliere, dagli eventi del 25 Ottobre, le ragioni della sua vocazione ideale e della sua missione riformatrice”.
Non si può contemporaneamente sostenere un governo e presidiare la piazza che protesta contro quello stesso governo. Così come non si può pensare che la formula aperta e innovativa della Leopolda debba essere concepita come il contraltare ad una manifestazione sindacale.
Il 25 Ottobre di Firenze e Roma possono essere, se non assolutizzate, due facce della costruzione di un grande partito riformista, autonomo e democratico.
Di fronte alla necessità di fare riforme profonde per cambiare un Paese fermo da trent'anni, sfida incoraggiata, per la prima volta, da un consenso inedito per la sua grandezza, è sbagliato immaginare che il richiamo della foresta di una grande e bella piazza sindacale possa far scaturire un progetto politico più marcatamente identitario della sinistra.
Le piazze si ascoltano, non si demonizzano né tantomeno si strumentalizzano con finalità politiche; quando centinaia di migliaia di persone si mettono in marcia per rivendicare la difesa di un diritto, il più grande torto che si può fare loro è utilizzare quello straordinario atto di libertà di espressione come leva per costruire una nuova aggregazione politica.
In passato, tentativi ben più ridondanti di questo, sono falliti clamorosamente.
Sembrerà paradossale ma la costruzione di una forza compiutamente riformista, che l'Italia non ha mai avuto, deve poter fare proprie le istanze provenienti da Firenze e da Roma qualificandole in un progetto politico che si impoverisca nella suggestione dello scontro tra vecchio e nuovo.
In un momento di drammatica crisi economico-sociale-istituzionale, non tende a placarsi il conflitto tra politica e antipolitica, tra democrazia e populismo, nonostante l'affievolirsi dell'efficacia mediatico-politica del Movimento 5Stelle. E in questi anni di crisi, la leadership carismatica è stata, per un verso, la scorciatoia a cui far ricorso per far fronte alla fine della democrazia rappresentativa; per altro verso, invece, i leader forti hanno incoraggiato il riavvicinamento alla politica di tanti cittadini delusi.
A me sembra che il presupposto per rivendicare il primato della democrazia rappresentativa sia il riconoscere, senza timori reverenziali, la profonda crisi di rappresentanza che colpisce inesorabilmente i cosiddetti ‘corpi intermedi’, soprattutto i sindacati. Così come colpisce i partiti e le istituzioni democratiche di cui si parla tanto. Far finta di non sapere che il sindacato stenti, da anni, a rappresentare i giovani lavoratori precari e le nuove forme di povertà, con una parola gli ‘outsider’, significa aprire le praterie a chi crede di poter fare a meno della concertazione.
Per questa ragione penso che la difesa strenua e corporativa di un diritto storico come l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, di fronte ad un provvedimento che si sforza di semplificare la selva dei contratti precari, sostituendoli con ‘il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti’ rappresenta più il tentativo di ritagliarsi lo spazio a difesa di una riserva indiana, piuttosto che incoraggiare, come hanno fatto i sindacati confederali nei momenti difficili del Paese, un processo riformatore utile ai più giovani e al futuro dell'Italia. Avere questa lettura delle ragioni della mobilitazione della CGIL, non può precludere, però, al riconoscimento che dalla manifestazione di sabato siano giunti molti messaggi di cui tener conto; il più importante di tutti è che molti italiani spaventati dalla crisi e dai suoi effetti, confidano nella rete di protezione-assistenza del sindacato.
‘Creare nuovo lavoro anziché tagliare i diritti di chi il lavoro ce l'ha’, è stato uno degli slogan più insistenti.
La creazione di nuovo lavoro, come sa bene la CGIL, passa principalmente dal rilancio degli investimenti e dello sviluppo che, evidentemente, è legato alla fine delle politiche di rigore e di austerity dell'Europa e, secondariamente, può trovare facilitazione nelle scelte strategiche introdotte dalla Legge di Stabilità. Indurre le imprese italiane, attraverso gli sgravi e il taglio del costo del lavoro, a ritenere conveniente l'applicazione di tipologie contrattuali stabili, significa invertire la tendenza, dei tanti governi succedutisi in questi anni, a rendere selvaggia e incivile l'attuale legislazione in materia di lavoro. Non riconoscere l'apertura di un percorso nuovo in queste misure del Governo, compresa la dura trattativa con Bruxelles sulla necessaria flessibilità per liberare risorse per lo sviluppo, suscita molte perplessità.
Alfredo Reichlin ha parlato, dopo l'esito delle recenti elezioni europee, del Pd come del Partito della Nazione. Un partito di popolo che ha una visione del futuro dell'Italia e che fa coincidere il proprio destino con quello del Paese. Concordo pienamente.
Mi permetto di dire, a questo proposito, che questo orizzonte, non esclusivamente legato ad una congiuntura elettorale, sarà raggiungibile se il Pd non sarà costretto a scegliere tra la Leopolda e Piazza San Giovanni. Il Pd sarà utile all'Italia se saprà raccogliere, dagli eventi del 25 Ottobre, le ragioni della sua vocazione ideale e della sua missione riformatrice”.
Michele Mazzarano - Consigliere Regionale PD