Il danno e la beffa, come nel più classico dei casi: la Puglia, che è uno dei maggiori produttori nazionali di energia, nel giro di un paio di anni rischia di dover pagare bollette di elettricità più care. E non per effetto delle dinamiche di mercato ma per decreto. Per decreto anti-crisi, per la precisione. Perché se le parole hanno un senso anche in questa traduzione semantica c’è un’altra declinazione della beffa. Partiamo dalla fine. Venerdì notte la commissione Bilancio e Finanze della Camera ha approvato il testo definitivo del decreto anti-crisi.
All’articolo 3 viene decisa l’abolizione del prezzo unico nazionale dell’energia e la divisione dell’Italia «elettrica» in tre macro aree: Nord, Centro e Sud (isole comprese, scelta non indifferente) non pagheranno più alla stessa maniera ma a seconda della capacità della rete. Ora il prezzo è di 90,95 euro per megawatt/h in tutta Italia.
Le famiglie e le aziende pugliesi sono destinate a pagare di più, forse anche cinque o dieci euro per mW/h a differenza del Nord dove il prezzo potrà scendere in maniera proporzionale al nostro aumento.
Le famiglie e le aziende pugliesi sono destinate a pagare di più, forse anche cinque o dieci euro per mW/h a differenza del Nord dove il prezzo potrà scendere in maniera proporzionale al nostro aumento.
La formulazione burocratica di questa condizione si trova nei commi 10/5 e 10/6 dell’articolo tre. Il primo recita: «Entro 24 mesi dalla data entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dello Sviluppo economico, su proposta del concessionario dei servizi di trasmissione e dispacciamento, può suddividere la rete rilevante in non più di tre macro-zone». Il secondo aggiunge che in mancanza di decisioni interviene per decreto il Presidente del Consiglio dei Ministri. Insomma, se il Ministro entro due anni non procede ad instaurare il nuovo regime, lo farà per decreto il premier. Una contraddizione? Tecnicamente sì. Politicamente no. Il perché lo spiega Ludovico Vico, parlamentare del Pd e componente della commissione: «Grazie ad una lunga mediazione eravamo riusciti a raggiungere un accordo su quella formulazione. Invece dopo le 22,30 i parlamentari della Lega hanno presentato l’emendamento aggiuntivo che di fatto spazza via ogni discrezionalità e impone l’abbandono del prezzo unico nazionale a favore delle macro aree. L’assurdo, in tutto questo, è che il titolo dell’articolo di legge parla di riduzione delle tariffe... Ma per chi?».
Le beffe, in questa vicenda, sono come le matrioske. Una dentro l’altra. Insomma, il discorso della rete elettrica fatto al contrario: ora il prezzo unico nazionale è una media dei costi locali, sui quali incidono le inefficienze di distribuzione dell’energia. In Sicilia la congestione delle linee fa lievitare il costo ad oltre 155 euro per mW/h invece il valore si dimezza in Emilia Romagna. Dunque il decreto mira ad una sorta di «federalismo energetico». Un prezzo troppo alto da pagare per la Puglia come spiega l’assessore regionale all’Industria, il vicepresidente Sandro Frisullo: «È pazzesco, avremmo solo da chiedere visto che siamo i secondi produttori italiani di elettricità e forniamo il grosso della produzione di energia rinnovabile e pulita. È urgente un confronto con i parlamentari pugliesi».
Tra i quali c’è anche Pietro Franzoso, parlamentare del Pdl e componente della commissione che ha approvato il testo finale. Le possibilità che intervenga una modifica sono del tutto ipotetiche. La linea del governo fino ad ora in materia di provvedimenti economici è stata di estrema blindatura: una volta messi a punto in commissione, i testi sono passati in aula a Camera e Senato spesso con il voto di fiducia per impedire allungamenti dei tempi di approvazione e stravolgimenti delle stesure originarie. Non resta che sperare e auspicare una massiccia pressione dei parlamentari di ogni schieramento. Inutile sottolineare che una bolletta energetica più pesante sarebbe un colpo mortale in una fase di crisi conclamata.