TARANTO – Nessuno pensa di chiudere l’ILVA nei prossimi anni ma il Gruppo Riva non può considerare Taranto come la Bophal d’Italia. Per chi non lo ricordasse nel 1984 uno stabilimento chimico uccise in India “ufficialmente” 1754 persone. Vent’anni dopo la contaminazione è ancora attiva. Oggi le 1.600 pecore da abbattere per la contaminazione di diossina dei terreni circostanti l’ILVA, domani la compromissione della zootecnia e dell’agricoltura ionica se è vero che la diossina è stata individuata anche a 10 Km agli stabilimenti siderurgici. Delle morti bianche sappiamo tutto, sempre frequenti gli incidenti sul lavoro, notevole l’incidenza di malattie respiratorie e dei tumori polmonari, malattie connesse all’inquinamento. Polveri sottili, diossine e PCB stanno compiendo una strage nemmeno tanto silenziosa. Ci chiediamo se corrisponda a verità che dopo la privatizzazione dell’Ilva gli strati filmanti (vernici ricoprente) non sono più applicati sui parchi minerari, che i filtri dei camini ILVA non sarebbero più sostituiti regolarmente? Che siamo di nuovo all’anno zero del trattamento fumi?
I dati pubblicati sul Bollettino Epidemiologico Regionale relativi a Lecce e Provincia dimostrano che non è quella jonica, la sola provincia disastrata. Anche il Salento paga direttamente i danni dell’aria dell’ILVA, i venti che spirano verso sud portano polveri sottili e cancerogene nonostante la provincia leccese abbia scelto una economia diversificata. Si prospetta un danno ambientale permanente per la Puglia con la possibilità, ancora una volta che sia lo Stato, cioè noi a pagare, una volta dismesso lo stabilimento. In uno Stato federalista che l’attuale Governo sta disegnando immagino che questi soldi li dovrebbero tirare fuori i Pugliesi, ovvero la Regione Puglia. Quindi profitti al Nord e inquinamento e sfruttamento al Sud: niente di nuovo sotto il sole. Uno sport ben praticato dal Gruppo Riva, il quale nel 1995 acquistò il siderurgico lasciando allo Stato i debiti contratti dalla precedente gestione. Film che si è rivisto con l’Alitalia al cui “salvataggio” ha partecipato lo stesso Riva. Anche lì lo stesso copione: aerei, slot e personale formato al privato, debiti a tutti noi. E’ arrivata l’ora che la città intera decida, non singole parti illuminate: Taranto si sprema le meningi e progetti da sola un nuovo futuro. Non glielo regalerà nessuno. Innanzitutto quindi creare un legame profondo con il suo territorio, con la sua Provincia. Si può sforare certo, ma non di anni. Se a Bari la data del 6 Dicembre è quella della riapertura del Petruzzelli, allora a Taranto si progetti l’esposizione completa e definitiva in un unico luogo di tutti i suoi formidabili reperti archeologici. Riva irrise chi voleva riprogettare la città. Sul principale quotidiano della città testuale disse: “siete in grado di assumere 13.000 bagnini”? Ora no, ma diversificando l’economia è possibile. Altre città come Bilbao l’hanno fatto. Il successo della riconversione ha attirato fin lì una delegazione di amministratori e imprenditori toscani. “Firenze nella competizione europea” questo il progetto. E Taranto? Vuole continuare ad essere la città dei fumi e delle polveri? Una cosa va detta chiaramente: il rilancio di Taranto è una questione nazionale. Questa città produce da cinquant’anni ormai acciaio e raffina petrolio. Tre anni di dialoghi senza un nulla di fatto, non possono rimanere senza sanzione. Senza contare che va esaminato tutto il pesante dossier del rispetto dei diritti dei lavoratori all’interno dello stabilimento. Il caso della Palazzina Laf e i ricatti occupazionali non saranno dimenticati.
Serve a poco essere la Provincia di Puglia con il più alto reddito pro-capite (19.726€).
Non voglio essere ripetitivo ma è il caso di studiare a fondo il modello Bilbao e lo faremo nei prossimi giorni per capire quali parti di quel progetto di rilancio possano essere da noi riutilizzate. Nel contempo evitare una nuova Bagnoli. Sono due casi di smantellamento di una economia basata sull’acciaio. Uno di successo, l’altro di stagnazione e declino. E’ una scommessa forte, che potrebbe anche non passare per la cessazione delle attività. Ma il tutto deve passare per limiti di emissione ferrei. Il Friuli Venezia Giulia ha adottato come Regione i limiti europei alla diossina, lo stesso può fare la Regione Puglia. L’Ilva fermi il suo ciclo e si adegui: la produzione continua non è un comandamento.
Al di là dei dati positivi del prodotto interno lordo pugliese, c’è una provincia che sopravvive sulle macerie di un progetto economico. In crisi l’agricoltura, militarizzato l’Ilva, ridotto a chiedere l’elemosina l’Arsenale, insufficiente e marginale il settore turistico, ancora da sviluppare l’indotto universitario. Uno scenario agghiacciante, soprattutto se si pensa al futuro. Al di là della immagine illusoria dei ristoranti pieni al sabato e del consistente mercato di beni di lusso non c’è strategia, non c’è idea di futuro. Serve un Piano Strategico a medio-lungo termine, sviluppo industriale sì ma sostenibile. Taranto non può più essere la pattumiera siderurgica d’Europa! La Regione Puglia non rimarrà inerte.
Taranto, 18 Ottobre 2008 Il Consigliere Regionale del PD
Paolo Costantino
I dati pubblicati sul Bollettino Epidemiologico Regionale relativi a Lecce e Provincia dimostrano che non è quella jonica, la sola provincia disastrata. Anche il Salento paga direttamente i danni dell’aria dell’ILVA, i venti che spirano verso sud portano polveri sottili e cancerogene nonostante la provincia leccese abbia scelto una economia diversificata. Si prospetta un danno ambientale permanente per la Puglia con la possibilità, ancora una volta che sia lo Stato, cioè noi a pagare, una volta dismesso lo stabilimento. In uno Stato federalista che l’attuale Governo sta disegnando immagino che questi soldi li dovrebbero tirare fuori i Pugliesi, ovvero la Regione Puglia. Quindi profitti al Nord e inquinamento e sfruttamento al Sud: niente di nuovo sotto il sole. Uno sport ben praticato dal Gruppo Riva, il quale nel 1995 acquistò il siderurgico lasciando allo Stato i debiti contratti dalla precedente gestione. Film che si è rivisto con l’Alitalia al cui “salvataggio” ha partecipato lo stesso Riva. Anche lì lo stesso copione: aerei, slot e personale formato al privato, debiti a tutti noi. E’ arrivata l’ora che la città intera decida, non singole parti illuminate: Taranto si sprema le meningi e progetti da sola un nuovo futuro. Non glielo regalerà nessuno. Innanzitutto quindi creare un legame profondo con il suo territorio, con la sua Provincia. Si può sforare certo, ma non di anni. Se a Bari la data del 6 Dicembre è quella della riapertura del Petruzzelli, allora a Taranto si progetti l’esposizione completa e definitiva in un unico luogo di tutti i suoi formidabili reperti archeologici. Riva irrise chi voleva riprogettare la città. Sul principale quotidiano della città testuale disse: “siete in grado di assumere 13.000 bagnini”? Ora no, ma diversificando l’economia è possibile. Altre città come Bilbao l’hanno fatto. Il successo della riconversione ha attirato fin lì una delegazione di amministratori e imprenditori toscani. “Firenze nella competizione europea” questo il progetto. E Taranto? Vuole continuare ad essere la città dei fumi e delle polveri? Una cosa va detta chiaramente: il rilancio di Taranto è una questione nazionale. Questa città produce da cinquant’anni ormai acciaio e raffina petrolio. Tre anni di dialoghi senza un nulla di fatto, non possono rimanere senza sanzione. Senza contare che va esaminato tutto il pesante dossier del rispetto dei diritti dei lavoratori all’interno dello stabilimento. Il caso della Palazzina Laf e i ricatti occupazionali non saranno dimenticati.
Serve a poco essere la Provincia di Puglia con il più alto reddito pro-capite (19.726€).
Non voglio essere ripetitivo ma è il caso di studiare a fondo il modello Bilbao e lo faremo nei prossimi giorni per capire quali parti di quel progetto di rilancio possano essere da noi riutilizzate. Nel contempo evitare una nuova Bagnoli. Sono due casi di smantellamento di una economia basata sull’acciaio. Uno di successo, l’altro di stagnazione e declino. E’ una scommessa forte, che potrebbe anche non passare per la cessazione delle attività. Ma il tutto deve passare per limiti di emissione ferrei. Il Friuli Venezia Giulia ha adottato come Regione i limiti europei alla diossina, lo stesso può fare la Regione Puglia. L’Ilva fermi il suo ciclo e si adegui: la produzione continua non è un comandamento.
Al di là dei dati positivi del prodotto interno lordo pugliese, c’è una provincia che sopravvive sulle macerie di un progetto economico. In crisi l’agricoltura, militarizzato l’Ilva, ridotto a chiedere l’elemosina l’Arsenale, insufficiente e marginale il settore turistico, ancora da sviluppare l’indotto universitario. Uno scenario agghiacciante, soprattutto se si pensa al futuro. Al di là della immagine illusoria dei ristoranti pieni al sabato e del consistente mercato di beni di lusso non c’è strategia, non c’è idea di futuro. Serve un Piano Strategico a medio-lungo termine, sviluppo industriale sì ma sostenibile. Taranto non può più essere la pattumiera siderurgica d’Europa! La Regione Puglia non rimarrà inerte.
Taranto, 18 Ottobre 2008 Il Consigliere Regionale del PD
Paolo Costantino