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28 ottobre 2008

Un'altra Italia è possibile e la faremo insieme




Una piazza mai vista. Canta in coro Fratelli d'Italia con il cielo che volge al brutto oltre uno stormo di palloncini bianchi. Il segretario del Pd Walter Veltroni ha appena pronunciato le parole finali del suo intervento: «Un'altra Italia è possibile e la faremo insieme». Il Circo Massimo è stracolmo, gli organizzatori calcolano due milioni e mezzo di persone, qualcosa in meno dell'ultima volta che quell'enorme prato su cui un tempo correvano le bighe è stato riempito dalla Cgil di Cofferati. Mai nessun partito ha tentato l'impresa. Le bandiere del Pd sventolano sull'Inno di Mameli e la gente defluisce in fretta prima del buio. Quel buio che anche Veltroni evoca al termine del suo discorso per dire che non c'è n'è mai stato uno a cui poi non sia seguita una nuova luce.
L'ultima parte di quello che dice è la più applaudita. Parla di loro, del popolo del Pd che lo abbraccia, a un solo metro di distanza, perché Veltroni non parla dal palco dove hanno suonato i musicisti e dove è schierato il gruppo dirigente del partito. Come gli altri oratori parla da un terrapieno immerso nella gente, con solo un esile cordone di servizio d'ordine e un microfono. Uno schiaffo alla paura. E lui di questo in effetti parla. Dell'Italia della responsabilità, della tenacia, della solidarietà, dell'innovazione. Dell'Italia non si rassegna. «Dell'Italia che resta migliore». Migliore «della destra che la governa», «onesta e perbene», «antifascista», «che vuole un futuro per i propri bambini» e non vuole che i propri cervelli siano costretti a emigrare all'estero.
Un'Italia «inter-cultu-rale», scandisce Veltroni ricordando i vari episodi di razzismo, la mozione della Lega sulle classi differenziali per i bambini immigrati «che fa rabbrividire». Veltroni ringrazia Saviano e anche i poliziotti, i magistrati, gli imprenditori coraggiosi che si oppongono alla camorra e alle mafie, al malaffare. Così come all'inizio del discorso ha ricordato Vittorio Foa e l'Anpi che ha aderito alla manifestazione, «l'Italia che non dimentica». E Leopoldo Elia, il suo monito a continuare a «coltivare la democrazia, che significa riconoscere la funzione democratica dell'opposizione, tanto nelle aule del Parlamento come nelle piazze».
La piazza che lo ascolta è una piazza identitaria, di partito. Ma senza incrostazioni ideologiche, visto che anche le sparse bandiere magliette di Che Guevara si mischiano e convivono in un mare di simboli del Pd.
Il passaggio più applaudito e sbandierato del discorso del segretario è quello che contesta la cultura dell'apparire a quella dell'essere. «Non vi è un interesse per la scuola perchè per voi - dice alla fine rivolto a Berlusconi e al suo governo - la scuola è la televisione». I riformisti, come li chiama Veltroni, sulla scuola e l'università non hanno una posizione conservatrice, credono nell'autonomia e nel merito, in una perenne valutazione di qualità dell'insegnamento. Ma difendono il tempo pieno, credono che sia un settore strategico - «noi faremo come Sarkozy che vuole aumentare del 50 per cento proprio pensando alla competizione globale»- e difendono un modello educativo che «è tra i primi del mondo» e anche se può essere migliorato «non si può stravolgere a ogni cambio di governo».
Veltroni ricorda che l'opposizione riformista non è volta a demolire, ma a costruire qualcosa di diverso. Le proposte sono il ritiro del decreto Gelmini e dei tagli alla scuola e all'università e l'avvio di un confronto vero «con un tempo prima di decidere». Perché «non si cambia la scuola senza gli insegnanti, gli studenti e i genitori». Chiede che in questo settore, ricerca inclusa, sia investito lo 0,5 percento del Pil. Si può fare, «è sostenibile» e qui Veltroni riconosce un particolare tributo a Romano Prodi e alla sua opera di risanamento delle finanze pubbliche che viene accolto con un applauso e uno sbandieramento dalla piazza. E poi detassazioni delle prossime tredicesime e rimettere il voto di preferenza alle Europee, saranno queste le prossime battaglie del Pd in Parlamento.
Silvio Berlusconi da Pechino dove si trova, tra una barzelletta e l'altra all'orecchio dell'imbarazzato premier cinese, fa sapere di non essere spaventato dalla piazza piena del Pd. Si mostra solo infastidito. Ma c'è qualcosa di nuovo che nasce dopo il sabato del "Salva l'Italia". Ne è convita Rosy Bindi che, intervistata dietro al palco da Calabria Ora ammette che non si aspettava tanta partecipazione. Ed è convinta che ora le divisioni interne nel gruppo dirigente non sarebbero più capite. «Ci mancherebbe solo- dice l'ex ministra- che a questa gente tornassimo a farci vedere divisi».
Assediato dai molti che gli chiedono di autografare bandiere, cartelli, persino copie de l'Unità, Massimo D'Alema non è d'accordo con la Rosy. «Si capiva dalle iniziative preparatorie che sarebbe stata una grandissima manifestazione, che stava crescendo il clima». E poi anche sulle divisioni, «non siamo divisi, discutiamo, come è persino opportuno in un grande partito che ha il 33 percento dei voti».
È dunque un punto d'inizio questa manifestazione? «Diciamo che rimette le cose a posto - risponde D'Alema - rispetto alla sensazione che ci fosse un'opposizione sola, quella di Di Pietro». I sondaggi però dicono che Berlusconi sta toccando l'apice del consenso.. «Anche i sondaggi vanno letti - risponde D'Alema a l'Unità online - gli ultimi dicono che il 52 percento degli italiani hanno fiducia in Berlusconi ma mettiamo che siano veritieri, c'è un altro simpatico 48 percento». «E poi - riprende dopo un attimo - anche sul 52 vedremo nel corso dell'azione di governo, che appare sempre più deludente».
D'Alema le chiama «rappresentazioni effimere», Veltroni parla di «un mondo virtuale» contrapposto al mondo reale degli uomini e delle donne che sono fisicamente al Circo Massimo. E uno striscione sintetizza: «Avellino c'è». Anche lei