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15 luglio 2013

• La rivoluzione di Papa Francesco

Ci sono atti che diventano spartiacque nella storia dell'umanità. Il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa ricorda metaforicamente quell'immagine biblica di apertura delle acque per far passare gli sconfitti della terra. Le parole pronunciate in quella celebrazione eucaristica sono destinate a lasciare un segno indelebile nella coscienza collettiva diventando un monito sferzante verso le istituzioni e la comunità internazionale. Jorge Mario Bergoglio e' un Pastore rivoluzionario, persino il suo lessico sembra ispirarsi al vocabolario delle rivoluzioni bolivariane dell'America Latina: il ricorso alla parola "tenerezza" quando parla del potere ne richiama l'ispirazione. La carica simbolica dei suoi gesti e la pregnanza delle sue parole ci consegna una Chiesa come Istituzione Globale che parla alla coscienza dei popoli e al cuore dei singoli, superando di fatto la fredda e tradizionale impostazione dottrinaria delle "Encicliche" e affermando la centralità del "cammino tra gli ultimi" nella missione pastorale ispirata alla vita di Gesù e all'esempio di San Francesco. Il Presidente della Commissione Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto, dice: "Attenzione perché una cosa e' il messaggio spirituale altra cosa e' il governo di un fenomeno complesso come l'immigrazione". A Cicchitto si potrebbe obiettare sul legame tra "Ethos" e "Nomos" ma non e' questo il punto. Il punto invece e' un altro ed e' tutto politico. La crisi ha esasperato negativamente il nostro rapporto con l' "altro" e con il "diverso" facendo prevalere ricette protezionistiche e di chiusura capaci di riscuotere maggiori consensi. La dichiarazione di Cicchitto svela questo retropensiero. Ma non e' mia intenzione strumentalizzare il messaggio del Papa. Anzi, la parola di Bergoglio assume caratteri di "antagononismo" di fronte ad un modello di globalizzazione che ha mostrato più vizi che virtù. La comunità internazionale sembra una sfinge di fronte al fermento democratico del mondo arabo, e' impassibile di fronte alla condizione di oppressione in cui e' costretto il continente africano, e' imbelle verso quella umanità oppressa da carestie, guerre etniche, miseria, diritti umani violati. Usciamo da anni in cui si e' pensato che fosse "politicamente più fruttuoso" alzare steccati, fili spinati, strategie di respingimenti, ma non si e' pensato che per affrontare le potenzialità e i rischi di un mondo sempre più piccolo e interdipendente bisognasse convincersi e convincere che quel che accade in Egitto ci appartiene più di quanto ci possa sembrare da un titolo di telegiornale. Del resto "il cosmopolitismo dell'economia e il nazionalismo della politica" non e' solo la causa del cortocircuito in cui sarebbero state avvolte le classi dirigenti occidentali, come ci spiegò Antonio Gramsci agli inizi del secolo scorso, ma costituisce l'impedimento culturale e ideologico di una globalizzazione che ha plasmato le menti di una politica abituata a raccontare storie che non smuovono sentimenti, idealità, che non definiscono i nuovi valori di un moderno internazionalismo democratico. Da molti mesi il Medioriente e il Maghreb sono sconvolti da una spirale di guerre civili come in Siria, di tensioni ed instabilità come in Libia e Tunisia e di scontro violento tra Fratellanze integraliste, suffragate dal voto, e giovani che chiedono democrazie e diritti civili, fino al compimento drammatico dell'Egitto, un Paese di 83 milioni di abitanti, nostri dirimpettai. La lezione sul dialogo tra civiltà dell'allora neo Presidente americano Barack Obama, proprio all'università del Cairo, apri' le porte alla speranza, speranza brutalmente bruciata quel giorno di novembre dell'anno scorso quando gli USA votarono contro il il riconoscimento della Palestina come Stato Osservatore delle Nazioni Unite. L'Europa, ancora senza voce e numero di telefono, come ebbe a dire Henry Kissinger, pensa che il problema del Mediterraneo e dei naufragi nel mare di Lampedusa sia un problema solo italiano. L'Europa delle burocrazie, senza popolo o contro il popolo, non coglie che esercitando il proprio ruolo nel Mediterraneo accrescerebbe il suo peso di attore politico globale. Il continente africano abbandonato, in preda alle scorribande di sfruttatori, agli interessi delle multinazionali farmaceutiche e idriche, e' la vittima principale della indifferenza dell'Occidente. La visita di Obama al carcere di Robben Island per rendere omaggio alla figura di Nelson Mandela non e' sufficiente se non corrisponde ad un grande piano di investimenti, di infrastrutturazione e di lotta senza quartiere contro le multinazionali che costruiscono i propri affari sulle tragedie di un continente, se il WTO non cambia radicalmente le regole del commercio mondiale che penalizza gli Stati poveri. Il rischio che corriamo, come ci insegna l'esperienza, e' che l'oppressione e la povertà estrema si saldino all'integralismo religioso e alla violenza. Non abbiamo molto tempo. Dopo le parole di Bergoglio a Lampedusa la Comunità internazionale e' con le spalle al muro. Non ce la caveremo discutendo se l' "Ethos" ispira il "Nomos" o viceversa. 

 Michele Mazzarano Consigliere Regionale Pd