Il passaggio di secolo ci ha consegnato un
lavoro profondamente trasformato nelle sue strutture interne, nei suoi tempi, nei suoi modi e forme, persino nei suoi simboli . In estrema sintesi possiamo dire che la modernizzazione delle tecniche di produzione e il loro affinamento tecnologico, la disponibilità di mercati sempre più vasti eppure sempre più saturi di beni di consumo, la graduale ma progressiva terziarizzazione delle principale
economie sviluppate, hanno modificato i
connotati“storici” del lavoro , quantomeno in larga parte dell’
Europa e del
nord America . Questo cambiamento epocale paragonabile per l’esperienza umana solo al passaggio dalla società rurale a quella della prima meccanizzazione industriale trasferisce a tutti i livelli e a tutti i comparti , cambiamenti, trasformazioni, rivoluzioni che parimenti trasformano, modificano e indirizzano la vita professionale e lavorativa di ciascuno . Il massimo portato della civiltà e della cultura del lavoro di stampo socialista nei due secoli passati aveva visto il suo t
ratto costitutivo, per così dire “egemonico”, nella tensione a migliorare ea democratizzare le condizioni di lavoro e dei lavoratori, introducendo diritti e tutele e mitigando dapprima con le sole lotte operaie e contadine , poi con le leve dello stato sociale , l’impatto e l’urto dei processi produttivi sulla vita di milioni di lavoratori nel mondo. Oggi è tutto cambiato, con una rapidità che reca caratteri straordinari. L’intera struttura di divisione internazionale del lavoro e diorganizzazione dei processi produttivi su cui le
democrazie moderne avevano costituito il
compromesso sociale keynesiano del
welfare si è strutturalmente modificata. Di fronte a questa verae propria rivoluzione si affacciano nuove domande e nuovi bisogni di tutela a cui una
sinistra moderna e un
nuovo riformismo devono saper offrire risposte. Tutto ciò è valido in particolare perl’
Italia. Il nostro è un Paese storicamente “
lento” nell’interpretare i
mutamenti storici e politici incorso nel mondo. Questa lentezza, assume molteplici e cangianti sfaccettature; alcune si riscontrano facilmente e quotidianamente, nella capacità della burocrazia di assecondare i mutamenti tecnologici e di cambiare assetto rispetto a quelli tradizionali, nella capacità di innovare le produzioni nel processo produttivo come nei contenuti, nella capacità di introdurre nuove e più avanzate proposte sul terreno dei diritti come in quella di fare largo a
nuove e giovani classi dirigenti in grado di interpretare al meglio la
modernità. L’
Italia appare spesso come un paese lento ma, ancora più di frequente, come un paese “
rigido”. Resistente al cambiamento, da questo intimorito e, pertanto, meno in grado di altre nazioni di pensare tempestivamente e compiutamente il proprio ruolo e la propria funzione nel
mondo che cambia. Intimorita dal cambiamento è stata perlungo tempo anche la sinistra italiana. L’incapacità di esprimere una compiuta risposta ai
mutamenti del lavoro e delle regole del suo “mercato” ci ha visti spesso divisi tra chi si opponeva a qualsiasi cambiamento e chi invece proponeva di smantellare tutta l’impalcatura di tute le che le democrazie del ‘900
avevano approntato per consegnarsi alle nude regole del mercato.
Oggi i tempi sono probabilmente maturi per una discussione più serena. Il
lavoro, inteso come uno, per tutta la vita , prevalentemente rinchiuso nel comparto industriale, a bassa intensità di contenuto tecnologico, è prossimo , nelle nostre società, all’estinzione . Ora abbiamo “i lavori”, tant i, diversi per tutta la vita professionale , con una forte percentuale di impiego nei servizi. Ve ne sono di tradizionali , resi parcellizzati e spesso precari in modo inaccettabile e di “nuovi”, sconosciuti prima e per questo ancora più sprovvisti di adeguati strumenti di tutela.
Le
nuove professioni sono complesse, e quindi difficili da spiegare e non solo perché si muovono sulla frontiera della
tecnologia. Lo sono anche perché ognuna di queste figure è generalmente parte di una lunga catena di mestieri diversi,complementari. Spesso si è rappresentata la proliferazione di nuovi lavori come il trionfo dell’intrapresa personale, dello spirito di iniziativa individuale, dell’estro e della creatività personale. Questo è certamente vero per alcuni
lavori di nuova generazione. Un web designer, ad esempio, se capace, ha molte più possibilità professionali e di guadagno individuale di quante ne possiede un
metalmeccanico; ma specularmente un lavoratore di un
call center che esegue un lavor oserializzato, sedentario, con poche o residue possibilità di avanzamento di carriera è certamente piùprossimo ad un lavoratore “seriale” piuttosto che ad un imprenditore. A questi esempi, utili chiaramente in chiave di semplificazione, vanno aggiunte due precisazioni. La prima è che in generale mai come oggi il livello di istruzione e la qualifica
zione formativa del lavoratore sono fondamentali per la qualità del suo percorso lavorativo e professionale; la seconda a questaintimamente connessa, è che pur in presenza di alti livelli di qualificazione spesso nel nostro Paeseil
lavoro è sottopagato,
precario e
non gratificante. In questa
contraddizione è bene insinuarsi.Perché nessuna nazione può sperare di crescere in maniera stabile e duraturo mortificando professionalmente lavoratori giovani e altamente qualificati; perché nessuna nazione può dirsi compiutamente civile laddove si conservino al suo interno sacche di sfruttamento, di generazione di
nuove povertà, di
mortificazione della condizione professionale.
Su tre punti il
Partito Democratico dovrebbe puntare a stipulare un “
patto” con i nuovi lavoratori : Le retribuzioni: i “
nuovi lavori” quelli cioè che hanno a che fare con la fornitura di beni eservizi di nuova generazione spesso nel nostro Paese sono vittime di una dinamica salariale mortificante, spesso insufficiente a garantire minime condizioni di sussistenza (nei grandi centri urbani magari in presenza di un affitto da pagare) o comunque a consentire una progettazione delproprio futuro familiare e abitativo. Un impegno all’innalzamento delle retribuzioni medie dei nuovi lavoratori è un impegno di civiltà a cui è necessario assolvere.Il
precariato: troppo spesso la condizione del nuovo lavoratore è quella di un
precario a vita . Favorito dalla moltiplicazione delle forme contrattuali e da una
sciagurata politica di incentivo per i contratti a termine
il precariato è il primo fantasma di cui è necessario liberarsi. Il pacchettoDamiano opera in questa direzione, incentivando le assunzioni a tempo indeterminato sottol’aspetto fiscale e contributivo . Il
welfare: oggi lo stato sociale è largamente
inadeguato a rispondere alle nuove esigenze diprotezione nel lavoro . Il welfare italiano riassume in se due tristi primati. È infatti al medesimo tempo il più
iniquo e il più
inefficiente d’
Europa. Pensare un
nuovo welfare per i nuovi lavori significa innanzitutto immaginare una protezione per il
lavoratore tra i diversi impieghi, dotandolonon solo della
possibilità di accedere ad un
sussidio di disoccupazione dignitoso e non distorsivoma anche di uno “scudo” previdenziale che copra comunque il lavoratore nell’aspetto dellacontribuzione a fini pensionistici, anche quando questo è sprovvisto di un impiego. Anche in questosenso vi è un impegno del
Governo a cui è bene si dia seguito.Questa è la
sfida esiziale del
Partito Nuovo dei
riformisti e dei
democratici che riguarda la grande prova della soluzione della crisi di rappresentanza del mondo del lavoro che datroppi anni si trascina e a cui né le forze politiche, né le forze sociali riescono ad offri rerisposte convincenti.Chi interpretasse questi tre punti come un irragionevole cedimento alle istanze della
sinistra più radicale compierebbe un
errore grossolano ; non solo perché introdurre elementi di giustizia e di
protezione nel lavoro è una delle missioni storiche dei
progressisti, dei
modernizzatori e di tutta la sinistra. Ma anche perché si tratta di tre misure univocamentevolte al
sostegno del reddito e dunque, in ultima analisi, di sostegno al consumo . Non esistecrescita possibile per un
Paese che assiste ad un graduale ma inesorabile impoverimento dei lavoratori. Tanto più se questi sono in procinto di
mettere su famiglia,
comprare una casa,
progettare un futuro. Si tratta, in ultima analisi di
restituire a centinaia di migliaia dilavoratori italiani un “
diritto al futuro” che per troppi anni gli è stato negato.
Michele Mazzarano Vice Segretario Regionale Partito Democratico