Ma i numeri complessivi dicono tutto della pesantezza della crisi. Se si guarda dentro le cifre, si riscoprono i vecchi mali italiani. Più della metà dei posti persi concentra nel Mezzogiorno con 194.000 unità in meno (-3% a fronte del -1,6% su base nazionale) mentre il Nord perde 161.000 unità (-1,3%) e il Centro appena 25.000 (-0,5%). Le persone in cerca di occupazione nel Sud tuttavia aumentano di appena 12.000 unità soprattutto a causa dell'effetto scoraggiamento sulla possibilità di trovare un lavoro dell'aumento dell'inattività. Il settore che ha subito la maggiore contrazione è l'industria in senso stretto (- 214.000 posti) seguita dall'agricoltura (-21.000 posti) e dalle costruzioni (- 26.000 unità).
Sono stati i precari, i collaboratori e i piccoli imprenditori i lavoratori più colpiti dalla crisi economica. Su 380.000 posti persi infatti 211.000 sono posizioni lavorative indipendenti (collaboratori, piccoli imprenditori ecc) mentre 169.000 sono dipendenti (171.000 in meno gli occupati a termine a fronte di un lievissimo aumento tra i rapporti a tempo indeterminato). Sono più gli uomini a perdere lavoro (274.000 unità in meno contro le 105.000delle donne). Ma la platea di donne occupate resta molto più ristretta rispetto a quella maschile. A sud lavora meno di una donna su tre, mentre a nord una su due.
Tanto che nel Mezzogiorno aumentano gli inattivi: che non hanno e non cercano lavoro. «Attualmente 500mila lavoratori sono in cig, e ne usciranno presto», attacca il senatore Tiziano Treu. Come dire: il numero di espulsi potrebbe raddoppiare. «I dati sono impressionanti, è inaccettabile ignorarli», dichiara Fulvio Fammoni della Cgil.