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18 febbraio 2009

Pd: Veltroni, non ce l'ho fatta e chiedo scusa

Quaranta minuti per spiegare i tanti perché del suo passo indietro. Tempio di Adriano, lo stesso dove ha salutato la vittoria alle primarie nell'ottobre 2007 e dove ha festeggiato, pochi mesi fa, la vittoria di Barack Obama. Walter Veltroni parla di sé, fa un bilancio della sua vita politica, ma soprattutto parla del Pd, «che è nato con 10 anni di ritardo, ma resta la speranza e il sogno politico della mia vita». Un sogno che non finisce. «Aiutatelo di più questo partito», dice al gruppo dirigente che rimane alla guida. «Innaffiate questa pianta, state uniti, non bisogna tornare indietro, non c'è un ieri migliore dell'oggi. Veltroni chiede scusa: «Non sono riuscito a fare il partito che volevano i milioni di elettori delle primarie, la responsabilità è mia, come nel basket, quando si fa un fallo, alzo la mano e me la assumo per intero». «Ce l'ho messa tutta, ci ho messo anche il fisico, ma non è bastato». «Ora lascio con assoluta e intima serenità, senza sbattere la porta». Ricorda i momenti «in cui il Pd l'ho visto: il Lingotto, Spello, il pullman, il 25 ottobre, il momento più bello, quel mare di bandiere del Pd significa che nel nostro popolo si è costruita una nuova identità, meno tra i gruppi dirigenti».

Già, i dirigenti. Veltroni non fa i nomi di chi gli ha messo i bastoni tra le ruote. Però ringrazia solo alcuni: Franceschini su tutti, per la sua «lealtà, una virtù rara in un uomo politico». Ringrazia Fassino, Soro e Finocchiaro. Ringrazia i presidenti Napolitano, Scalfaro e Ciampi. E anche Fini, Schifani e Gianni Letta per «la loro correttezza». Non D'Alema, non Rutelli, che non sono presenti all'addio del leader. «Non ho corrisposto alla spinta di innovazione che veniva dal popolo delle primarie- spiega- perché volevo tenere tutti uniti. Ma per farlo c'era bisogno di solidarietà, di sentirsi una squadra». Cosa che non si è verificata. Per questo Veltroni chiede che il suo successore riceva un trattamento diverso: «Non fategli quello che è stato fatto a me, non giudicatelo con l'orologio in mano. Per far vincere in Italia un progetto riformista c'è bisogno di tempo, perché Berlusconi ha realizzato una egemonia, ha cambiatola scala dei valori, ha portato disvalori».

E per cambiare la società nel profondo «ci vuole tempo: non è un caso che leader come Lula e Mitterand abbiano vinto dopo diversi tentativi a vuoto». Veltroni rivendica tutte le sue scelte di fondo, a partire dalla vocazione maggioritaria, dalla semplificazione del sistema politico, la nuova forma-partito, le novità programmatiche all'insegna del riformismo. «Il Pd non deve essere come il Vinavil che tiene incollati vari pezzi per affrontare la sfida elettorale: i rapporti di forza si cambiano nel Paese, come hanno fatto i democratici americani dopo otto anni di maggioranze repubblicane». Il messaggio a quanti vorrebbero nuove riedizioni di un centrosinistra dall'Udc a Rifondazione è molto chiaro.

E Veltroni è chiaro anche sulle prospettive future del partito: spiega che «darà una mano con discrezione». Ma sull'immediato la sua opzione è netta: reggenza a Franceschini e poi il congresso dopo le europee. «Serve una discussione vera, ampia, non imbrigliata». «Ho chiesto a Dario di assumere le responsabilità di questo momento nella speranza che si possa dare rapidamente certezza. Prima bisogna vincere le amministrative e le europee, poi ci sarà un congresso vero, dove costruire l'identità e il senso comune del Pd».

Veltroni parla anche di sé: ricorda tra i momenti chiave della sua vita politica «aver contribuito all'elezione di Ciampi al Quirinale», la direzione de l'Unità, palazzo Chigi nel 1996, il Campidoglio. «Ora avrò più tempo libero, e girando per la mia città vedrò la galleria Borghese, villa Torlonia, gli asili, le case per le famiglie dei bambini malati, Dimostrano che ho passato la vita non a fare discorsi e interviste, ma a fare cose per gli altri». Poi confessa: «Sono stato un uomo del governo e delle istituzioni, ma non sono un uomo di partito». «Per tanto tempo mi sono immaginato come sarebbe stata la mia vita dopo la politica, ora si apre una pagina nuova, scoprirò la vertigine del tempo. Quando ero sindaco pensavo all'Africa, e su questo si è molto ironizzato: ma quello è il luogo dove si materializza tutto quello in cui ho sempre creduto, il luogo di chi ha una coscienza civile. Ora ho la possibilità di scoprirlo e verificarlo». Prima di chiudere ricorda di aver chiesto al prefetto di togliergli la scorta: «Ne vedo troppi di ex potenti con queste scorte, mi dispiace solo per i ragazzi con cui vivo da 10 anni e che non vedrò più». Qualcuno dalla sala gli urla «Devi restare», ma lui tira dritto, anche se ammette «un po' di commozione». Finiscono le parole, restano gli abbracci. Tra i primi c'è Franceschini. Che dice: «Walter è un fratello, sono sicuro che ci ritroveremo».

Da domani sarà proprio Franceschini, insieme agli altri vertici del partito a consultarsi con i segretari regionali e provinciali, in vista dell'assemblea costituente convocata per sabato. L'ipotesi di andare a congresso subito sembra ormai tramontata. Più probabile che Franceschini traghetti il partito fino ad ottobre, passato lo scoglio delle europee.

Unità di Andrea Carugati